sabato 28 gennaio 2023

SCUOLASCUOLASCUOLA

Un mix di informazione sottile di dettaglio che talvolta richiede accurata investigazione, attenzione alle scadenze e tempistiche, networking, ma solo fino ad un certo punto, e una fine strategia (che nemmeno Macchiavelli) sono oggi gli elementi necessari per iscrivere una tredicenne ad un liceo scientifico pubblico, a Milano.

I licei di interesse, in un raggio di una decina di chilometri, sono una quarantina. Si contano sulle dita di una mano quelli candidabili davvero ad una iscrizione per una serie di motivi, tra i quali la prossimità gioca un ruolo non secondario. Ebbene, ciascuna scuola fa da sè, quasi fosse l’unico istituto della nazione, dettando regole e criteri di accoglimento, selezione e geografia. Dunque c’è quello che accoglie con un ‘test orientativo’, che non si può chiamare test di ingresso perché il ministero non lo permette, ma il test fornisce moltissimi punti in graduatoria dunque se non lo fai, e bene, sei fuori. Poi c’è quello che usa un criterio geografico di prossimità che include soltanto i tre isolati adiacenti, quindi tutto il resto dell’utenza, per quanto sia prossimo,  non lo è abbastanza. Quasi tutti usano come odioso criterio dirimente i voti della pagella finale di seconda media, quelli dove chi fa un po’ lo scemo viene penalizzato, come non ci fosse già anche un voto di comportamento. 

Ci sono scuole che privilegiano il consiglio orientativo, quel documento che il consiglio di classe genera per suggerire un potenziale prosieguo degli studi - si chiama ‘consiglio’, eppure viene recepito come titolo che genera punteggio. 

Ci sono poi i criteri di privilegio di studenti dello stesso plesso, fratelli o sorelle già presenti (e no, nonostante la nonna MM abbia caldeggiato l’idea, nessun punteggio addizionale per ex alumni in famiglia, nel caso dei genitori - XX aveva frequentato proprio una delle scuole più prossime). 

Così da qualche mese è partito il monitoraggio sistematico degli open day, quegli incontri sciagurati dove più che presentare la sostanza si presenta il contorno (sarebbe come dire vieni al ristorante stellato che il piatto è guarnito con i cranberry canadesi), nella speranza di carpire qualche informazione nascosta o meno nota che possa aiutare la strategia dell’iscrizione. Ad esempio, chessò, scegliere come prima lingua il francese.

Come spesso accade di fronte all’incertezza, le mamme vicine a XX cercano il confronto. Così hanno istituito una chat per scambiare il informazioni sugli open day, e nello spazio comune condividono informazioni e sentito dire. Naturalmente al sentito dire si attribuisce un valore legato alla persona che lo dice, dunque le stesse informazioni possono naturalmente portare a strategie diverse.

Nello specifico, per la microba alla fine si è tentata la sorte: iscrizione al liceo che discrimina unicamente sulla base della pagella, ma con un metodo di calcolo barocco e con medie pesate di cui la scuola stessa fornisce un simulatore online. Lei avrebbe scelto una scuola che le sarebbe piaciuta di più (criteri di apprezzamento da definire) che è stata indicata come seconda scelta. Sperando di cascare in piedi.

A due giorni dalla scadenza legale del periodo delle iscrizioni, XX e YY hanno affidato i futuri anni educativi microbi al destino. 

Altro mistero: come mai si lamenta la penuria di studenti, e ancor più di studentesse, delle discipline STEM, quando la scuola in assoluto più presa d’assalto è il liceo scientifico?

sabato 21 gennaio 2023

PARACHE?

‘Quando andiamo da Decathlon, devo comprare i paraglomi. Vedere se li trovo della forma giusta. Altrimenti si ferisce, si infetta e poi bisogna chiamare il VETERINARIO.’

Ecco, l’ha trovata, la cucciola grande, la parola che apre tutte le porte: ‘veterinario’. Lo spauracchio di qualcosa che non si conosce, nello specifico i vizi e le virtù della salute equina, della quale XX e YY temono un costoso tracollo. 

Investigando un po’, si scopre che questi ‘paraglomi’ sarebbero delle protezioni da mettere intorno agli zoccoli del bestione che, nei suoi virtuosi dieci hanni di vita, non ha ancora imparato a trottare senza picchiare le zampe dietro contro quelle davanti, procurandosi delle ferite che con la terra del campo si infettano e vanno curate da veterinario da remunerare.

Sarebbe come se nell’età di giovane adulto di un umano, uno corresse dandosi i calci sul sedere con i talloni, tanto da poi dover ricorrere a costose cure mediche private per curare le lesioni. Tutte le volte che corre, cioè se sei un cavallo, tutti i giorni.

La successiva puntata al negozio sportivo ha dunque previsto la selezione accurata di paraglomi, che sono un po’ come delle pantofoline per gli zoccoli, o dei parabordi per le barche. Solo che le barche non scelgono di farsi male. Il cavallo, sembra di si. Dunque i paraglomi vengono scelti della forma che sembra la più adatta alle delicate zampe, vengono acquistati, messi intorno agli zoccoli alla prima occasione, la forma va bene ma la protezione no. E il cavallo dall’intelligenza fuori dal comune (…) continua a ferirsi. La puntata successiva è l’acquisto di soluzione disinfettante, per cominciare a parare la potenziale infezione, per poi ripartire alla ricerca di paraglomi di forma diversa, più delicati, più morbidi, più coprenti o sa il cielo che. Un corredo di epoca vittoriana era decisamente meno ricco e variegato degli accessori che servono al maestoso Gino, che ha di recente ricevuto una mantella impermeabile per non bagnarsi, una coperta per stare al caldo quando finisce di lavorare, un pigiamino, diciamo l’intimo, perché la coperta sia confortevole e non gli speli il manto del collo, e che ha bisogno della protezione agli zoccoli per non farsi male alle zampe da solo.

martedì 3 gennaio 2023

NAPOLI MILLE EMOZIONI

L’anno scorso a quest’ora i Noicinque scorrazzavano tra le isolette norvegesi innevate e a picco nel mare, arcipelago in cui sono stati blindati causa test covid positivo della cucciola grande. Quest’anno, in formazione ridotta perché la stessa cucciola grande non ha voluto rinunciare a coccolarsi il suo cavallo e soprattutto a cinque giorni di autogestione sola in casa, la meta è stata meno lontana forse, ma ugualmente esotica.

I Noiquattro sono arrivati, con la famiglia dell’amica antica SJ, nella bella Napoli, per viverla ‘da dentro’, attraverso cooperative e progetti sociali che offrono alternative al malaffare.

Così in questa prima giornata piena hanno visto tante cose accompagnate dalle parole sapienti e dagli occhi gentili di Gianluca, la guida che li ha accompagnati alla scoperta di una città inedita. E con lui hanno scoperto, per esempio, che l’ex convento in cui dormono si chiama Monacone in onore di un certo San Vincenzo che pare responsabile di svariate guarigioni miracolose dalla peste del milleseicento, ma la chiesa lì accanto è intitolata a San Vincenzo oppure a Santa Maria a seconda di chi te ne parla, un po’ come inter e milan.

Hanno visitato le catacombe dove c’erano le nicchie di taglie diverse a seconda della stazza del morto, che veniva lasciato alcuni mesi a ‘seccare’, diciamo, per poi avere il capo tagliato ed esposto in affreschi e guadagnarsi, con l’indulgenza pagata per questa esposizione del cranio, una più rapida ascesa in paradiso. Così nei sotterranei di San Gaudioso (che è un altro santo ancora, Napoli sembra avere cinquantaquattro protettori, in un pantheon curiosamente simile a quello delle divinità indù) si visitano nicchie vuote e teschi montati sopra affreschi di scheletri con pantaloni o gonne sontuose a caratterizzarne il nobile proprietario o proprietaria. 

Uscendo alla luce, nel quartiere Sanità, ci si emoziona di fronte a enormi murales che raccontano di volti di bambini del rione, di due fratelli affetti da una malattia genetica e poi guariti, da una statua a colori di un ragazzino ucciso da una ‘stesa’, una sventagliata di mitra di avvertimento dei clan.

Qui tutto è rumore forte, traffico impensabile, scooter che filano via a pochi millimetri dai passanti, musica, colori, profumi, banchetti e botteghe in un intreccio unico e caotico.

La guida Gianluca dagli occhi gentili mostra il duomo e racconta la storia di san Gennaro, che poi forse era tunisino e poi forse è stato scelto come patrono per il nome, perché, sempre forse, il duomo è stato costruito sopra un tempio pagano intitolato a Giano bifronte e Gennaro era il nome che gli somigliava di più. Forse. 

E poi quella cosa del miracolo, che per la chiesa miracolo non è ma viene definito come evento inspiegabile, la liquefazione del sangue di san Gennaro: siccome la prima volta che successe fu durante uno dei trasferimenti della reliquia nel millesettecento circa, da allora l’idea è che il sangue si sciolga quando è trasportato, indi la processione. Prima si scioglie, meglio è. Tutti hanno qualcosa da chiedere a San Gennaro per sè, per la città, per qualcuno di caro…e la richiesta viene fatta un po’ come si farebbe ad un parente ricco, ‘eddai, che ti costa?’, un po’ richiesta e un po’ pretesa.

Gianluca racconta che le prime file della processione sono occupate dalle ‘parenti di San Gennaro’, vecchiette che cominciano con richieste dirette che mano a mano che la cerimonia procede diventanto sempre più imprecazioni, proprio come si farebbe con un parente ricco che non ci ascolta quando gli chiediamo un favore. La commistione tra religione, spiritualità, superstizione e baratto ha un che di incredibile.

E poi la giornata si allunga verso il mare, alla ricerca di un po’ di sole, un po’ di cielo invisibile dai vicoli e decumani, ed ecco che là, tutto a sinistra guardando il mare, compare il Vesuvio. Grande e presente, sembra fare la guardia alle formichine, mille e mille, che si affannano operose ai suoi piedi.

Questa prima giornata ha raccontato di una città dalle mille letture, dal mille colori. Non a caso, si canta così.