martedì 25 giugno 2024

LUCI A SAN SIRO

‘Luci a San siro…di quella sera…che c’è di strano, siamo stati tutti la.’: così comincia una delle mie canzoni del cuore. Che rappresenta, pur con altra energia, la serata di oggi, a tema microba. Mesi fa hai insistito per questo dono, il concerto di Sferaebbasta (la sa il cielo se si scrive proprio così) uno degli idoli di voi del mondo del futuro. Ti abbiamo chiesto: ‘ma quanti biglietti?’ ‘Uno, poi ci vado con le mie amiche.’ E invece succede che le tue amiche un po’ ci sono andate la sera prima, qualcuna addirittura nel backstage forte di uno zio amico dell’artista, un po’ non avevano trovato i biglietti, un po’ erano in settori tutti diversi dal tuo prato.

Così, con quell’incoscienza cieca che ci hai trasmesso, ci siamo detti che ok, potevi andare anche da sola. Non c’erano in effetti alternative, se non rinunciare.

Da una settimana vivi con le cuffione bianche appiccicate alle orecchie, alla domanda ‘che fai?’, la risposta è evoluta in un ‘sto studiando… [pausa ad effetto]…le canzoni del concerto.’

Sono quindi cominciati i preparativi logistici tipici di questo tipo di eventi: a che ora aprono i cancelli, portati da mangiare, l’acqua non te la fanno tenere, mettiti un tappo in tasca, prendi la coperta da picnic, hai la powerbank, dammi la tua che la nascondo meglio perché se me la trovano poi non riesco a fare i video del concerto, non stare troppo davanti che ti schiacciano e altre amenità sul tema.

Un’inaspetattamente disponibile sorella grande ti sbarca, cinque ore prima dell’inizio del concerto, davanti ai cancelli, e se ne va, leggera come l’aria e impermeabile ai miei tentativi di figurarmi ‘la situa’. ‘C’era già tanta gente? Come ti sembrano gli altri? C’era gente brutta?’ Forte dei peggio pregiudizi, mi immagino la microba sola e sparuta in mezzo a bandacce di mezzi delinquenti senza gloria. Lei risponde, serafica: ‘ma va, tranquilla, erano tutti come lei, la microba.’ Che non so bene cosa voglia dire, e questo accresce la mia ansia.

Saperti in balia della folla per cinque ore e senza nemmeno un concerto iniziato non mi stare tanto serena, quindi ti telefono. E tu racconti che sei entrata, che ti hanno preso l’acqua, che sei in terza fila (terza fila!!! Ti schiacciano, mettiti più indietro!! Mi martella una voce nel cervello) che intorno a te c’è gente che sembra tranquilla (non ti sarebbe mai venuto in mente di dirmelo, hai risposto a domanda precisa). E poi per non sembrare troppo ansiosa dopo un po’ dico al papà di telefonarti dopo un po’, per sapere come va. E poi ti ritelefono in questa attesa che mi pare lunghissima. Finalmente il concerto comincia, e tu te lo godi e canti e ti diverti, e poi il papà ti viene a prendere in scooter chè tutto il quartiere è chiuso al traffico, e vi siete messi d’accordo di trovarvi davanti a un hotel non so dove, e vi trovate facilmente, e torni felice.

Stanca. E felice. E io non lo so se lo sai, che credo tu abbia fatto una cosa grande e bella: ti piaceva, lo volevi, hai perseguito l’obiettivo (insistendo con due genitori un po’ refrattari) e ci sei andata. Da sola. Non importa. Certo, con le amiche sarebbe stato più bello? Forse. E intanto hai vissuto un’esperienza così immersiva tutta tua.

Riposati, ora, microba mia. E vivi la tua pienezza.

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