È circa metà mattina, scendo a farmi un caffè e sbircio dietro la tua porta, da cui ti immagino impegnata nella maratona delle sei ore di didattica a distanza in quarantena. Ti scopro acciambellata nella poltrona senza forma verde e viola, le cuffie alle orecchie, assorta nella lettura di un topolino e con il computer davanti. Sbircio e nello schermo ci trovo gli occhiali dell’immancabile Potts. Al mio sguardo interrogativo con sopracciglio alzato, spieghi: è l’intervallo. Lo fate insieme, con chi non è uscito dalla classe virtuale, ognuno a coltivare il proprio relax (il tuo fumetto parla chiaro).
Non ci rivediamo per il resto della giornata (le tue ore lunghe e le mie lunghe ore di impegno dietro uno schermo), a parte qualche blitz che fai, di cui non sempre mi accorgo, mettendo il naso dentro la mia porta. Facilmente sono in una delle innumerevoli call della giornata (ci ostiniamo a pensare che siamo molto efficienti, non sono per nulla sicura che sia così), e a mo’ di lettera anonima mi fai scivolare dei messaggi sotto la porta. Un acquarello di una balena con le costellazioni fedelmente riprodotte, un segnalibro, messaggi e doni vari.
Così, in questo nuovo lockdown di fatto, ci mandiamo messaggi di affetto attraverso le porte chiuse. Ma sotto quelle porte ci passa moltissimo.
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