martedì 7 gennaio 2020

LA TRACCIA STILE MAPS E I PICCOLI AUTORI CRESCONO

“Era andata così. Un sabato pomeriggio stavo sotto i portici, al Viale, con altri due o tre, e ci rompevamo. Guardavamo la pioggia che veniva giù fitta fitta, le pozzanghere in mezzo alla strada, i palazzi gonfi e bagnati e non sapevamo cosa fare, se non prendere a calci ogni sasso. Ogni tanto uno diceva qualcosa e gli altri neanche gli rispondevano. (F. d’Adamo, 1000 pezzi al giorno, 2000) 
Partendo da questo incipit, continua la storia, immaginando come i ragazzi abbiano poi trascorso il pomeriggio. Mantieni la narrazione in prima persona. Il genere deve essere realistico. Il tuo testo parteciperà un concorso per giovani scrittori.

Era agosto. La città era deserta e c’era una cappa di afa spaventosa. Eppure pioveva. Era una di quelle tempeste estive che portano solamente ulteriore umidità. Ad un certo punto da una casa spuntarono una madre con un bambino piccolo che avrà avuto tra i quattro e i cinque anni. Correvano per sfuggire alla pioggia, mentre la madre si riparava la testa con un giornale. Il bambino rideva, felice e spensierato. Mentre attraversavano il Viale e poi la piazza, la madre urlò qualcosa al piccolo. Non riuscivo bene a sentire le parole, ma intuii che stavano per partire per andare al mare. Il mare. Noi non ce lo potevamo nemmeno permettere. Mia madre lavorava mattina e sera per dare qualcosa da mangiare a me e mio fratello. Io a volte l’aiutavo, facevo le faccende di casa o vendevo i giornali. Mio fratello, d’altra parte, era una palla al piede. Aveva diciannove anni, tre più di me, ma non lavorava. Stava tutto il giorno in giro con la sua banda a fare non so cosa, e tornava la sera per cenare e chiedere i soldi a mia madre. A volte, se lei non li aveva, le metteva le mani addosso. Andava avanti così ormai da sei mesi; da quando papà era morto in un incidente d’auto, Jack aveva iniziato a drogarsi, e adesso sembrava un fantasma. A scuola era stato bocciato, ma se ne fregava. Non ci andava più a scuola. E anche i miei voti stavano calando a vista d’occhio. 
Non ricordavo nemmeno l’ultima volta che ero stato davvero felice. 
Avevo solo bisogno di staccare per un po’ dalla vita reale. Iniziai a camminare lungo tutto il perimetro della piazza sotto i portici sempre più veloce, poi a correre con tutta la forza che avevo in corpo. Uscii dai portici della piazza, mentre i miei compagni mi chiamavano e gridavano chiedendomi che cosa stessi facendo. Fuggii da quelle urla, corsi per vialetti e attraversai strade senza badare ai semafori. Corsi senza sapere dove mi avrebbero portato i passi. Mentre scappavo dalla realtà, pensai. Pensai alla situazione irrecuperabile di mio fratello, che ormai non riconoscevo neanche più. Pensai a mio padre che mi mancava da morire e che sognava che fossimo brave persone. Pensai a mia madre, che si faceva in due per noi e che in cambio non riceveva altro che botte. Pensai a me, che non sapevo più dove andare a parare, mi sentivo un granello di sabbia in mezzo al deserto. Mentre correvo mi scendevano le lacrime e una rabbia e un dolore repressi da tanto tempo si scatenarono al di fuori di me con un urlo carico di odio e di disprezzo verso tutto il mondo. Avevo la vista appannata e così non feci in tempo a vedere che una piastrella del marciapiede sporgeva. Caddi a terra supino, con le lacrime che sgorgavano a fiotti e il sangue che usciva da una ferita al ginocchio. Sentii dei passi e dei respiri affannosi: erano i miei compagni. Non li avevo mai reputati miei amici, ma adesso, nel momento del bisogno, erano lì ad aiutarmi. Mi tirarono su senza fare tante domande. Sentivo l’imbarazzo che riempiva l’aria, colmare il silenzio. Ad un certo punto, Diego, il più piccolo del gruppo, si mise con la faccia rivolta verso la pioggia e la bocca aperta. Uno degli altri due lo spinse e gli chiese: “Che fai scemo? Non vedi che ha bisogno del nostro aiuto?” A queste parole Diego rispose sono “So io di che cosa ha bisogno” - sentenziò. Si avvicinò ad una pozzanghera e mi spruzzò. La maglietta si incollò immediatamente al corpo, diventando quasi trasparente. All’inizio ero spiazzato, mi aveva colto di sorpresa. Poi però mi riscossi e iniziai a rincorrerlo, spruzzandolo con eventuali pozzanghere. Iniziammo così una vera e propria battaglia d’acqua. Mi resi conto di stare ridendo. 

Per la prima volta dopo tantissimo tempo mi potevo finalmente definire felice.

Tema della cucciola di mezzo, classe terzabì

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