giovedì 13 luglio 2023

BAMBÙ

Ci sono mille modi di stare in India: puoi alloggiare al grand hotel, avere l’autista e non mettere mai neppure un piede sulle strade impolverate e casa di molti, di troppi; puoi invece mischiarti con la folla ed accogliere, o mal sopportare, la curiosità indiana verso gli stranieri; puoi azzardare un percorso in tuk tuk ben cosciente che non ti stia portando dove vuoi per la via più breve; puoi scegliere di ricordarti della mamma con tre bimbi piccolissimi che vive su un cartone girato l’angolo, a Delhi centro; puoi scegliere di stare in un villaggio sul mare a fare yoga, di coccolarti con i mille massaggi o di passare qualche giorno nell’ashram di meditazione. Puoi scegliere di cercare qualche monumento e fare un po’ di turismo, di camminare tra e bancarelle coloratissime e pienissime e farti investire dall’energia, puoi essere lì per lavoro e stare in bilico tra gli incontri professionali e avere i sensi sovrastati.

In tutto questo, a XX capita di essere portata fuori Mumbai per un incontro, c’è una mucca magra sdraiata tra le auto parcheggiate, il taxi che la porta lì non ha una sola parte di carrozzeria ia intatta, luci non pervenute e meno male che è giorno. E soprattutto c’è l’edificio in cui lei entra, sale scale di terra sporche e strettissime chiedendosi se reggeranno per essere stipata, con altri sette, in una minuscola sala riunioni grande come un piccolo tavolo da pranzo. Quello che colpisce è che questo edificio pare in ristrutturazione, con ponteggi che lo coprono in ogni angolo: ma quello per noi è un ponteggio è in realtà è in realtà una stortignaccola struttura fatta di bambù e corda su cui chi lavora si arrampica a piedi nudi, una sorta di gabbia fatta dall’inesauribile bambù annodato come non si sa faccia a reggere. Il tutto che imbriglia con quadratini di non più di un metro edifici enormi.

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