martedì 9 gennaio 2024

FUNAMBOLI

Non ho mai amato i granchi. Di più, quando li vedo mi scivola addosso un malcelato ribrezzo, al limite (talvolta superato) del voltastomaco. Granchi, aragoste, cicale di mare di ogni foggia e dimensione hanno due sgradevolissime (ai miei occhi) caratteristiche: zampastre con chele minacciose e magari antenne con cui sondano i dintorni, capaci di toccarti a distanza. Sembrano poter arrivare ovunque, con quelle terribili appendici, si muovono dove non sai, si nascondono in tane dove non li raggiungi e si mimetizzano con l’ambiente, tanto che anche quando sono in bella mostra sopra uno scoglio non li vedi. E le chele, che quando ti pinzano possono fare parecchio male.

Quante similitudini con il male del nostro tempo, il cancro. A partire dal nome, dal greco karkinos, ramificazione. Come il granchio, ha numerose ramificazioni, si sposta ovunque, può essere rapido, si nasconde al sistema immunitario, quando morde dà dolori intensi.

Ippocrate, il padre della moderna medicina, scriveva ‘il cancro divora i tessuti in una morsa dolorosa e acuta, proprio come il granchio’, e Galeno vedeva somiglianza tra le vene gonfiate dai tumori e le chele del granchio.

Insomma, granchi fastidiosi per se e anche per il significato che evocano, un male nostro, di cui si capisce sempre più ma non si é ancora saputo come sconfiggerlo del tutto.

Sconfiggere: quando penso a che cosa ha fatto il cancro alla vita della mia famiglia, alla mia vita, portandosi via anzitempo il mio papà, cui ha tolto anche parte della sua brillantissima intelligenza, ecco, penso che per ora il cancro ha vinto lui.

E, non contento, ha l’ardire di ripalesarsi in altra forma, nell’altro uomo che amo. Così quando la situazione si é chiarita e complicata allo stesso tempo, quando dal monitoraggio di valori del sangue e parametri numerici si é passati all’indicazione di operare, togliere tutto, il canchero e pure il guscio in cui sta, ‘che comunque anche senza si vive abbastanza bene lo stesso’, ecco YY e io siamo diventati un po’ funamboli.

Abbiamo cominciato a camminare sul filo del dire e non spaventare, del dirci a sussurri noi che per primi abbiamo cercato di stare senza spavento, senza troppa paura. La postura rassicurante e seria, le parole scelte con cura per non dire della paura e condividere la situazione.

Loro, le ragazze: hanno capito con sfumature diverse, alla vista non si son troppo preoccupate e sono state. Reduci da una bella vacanza sugli sci, un orecchio di attenzione all’ospedale di papà, la granitica certezza adolescente, scevra da dubbi, che tutto non può che andare come deve, cioè bene, quindi non me lo domando nemmeno.

L’altra generazione, quella dei genitori, é stata anch’essa. Con la consapevolezza che tutto può anche non andare come deve, ha chiesto dettagli e sembra non essersi spaventata troppo nemmeno lei.

In breve, dall’operazione fatta con tecnica robotica (più che chirurgo un ingegnere di precisione, diciamo), YY ha avuto quattro bracci di robot che gli hanno fatto sei buchi nella pancia, uno più grande intorno all’ombelico, ha un organo di meno, sta provando ad imparare a ‘vivere abbastanza bene pure senza’.

E, canchero, questa volta sei stato tu a non essere più.

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