martedì 18 agosto 2020

#2

La mattina comincia con una caccia al tesoro. Il tesoro: il secondo Covid test, quello da fare dopo cinque giorni. La comunicazione arriva barocca, in islandese e sotto, molto sotto, in inglese. Parla di un appuntamento da richiedere al telefono, senza dare numero di telefono. Si deve cercare il sito della sanità, quello sì solo in islandese, indovinare un indirizzo, presentarsi in anticipo, senza appuntamento, all’indirizzo c’è un cartello che ti manda alla porta accanto, da qui un altro indizio che ti rimanda alla casa rosa ‘across the street’. La casa rossa è marrone, davanti in attesa qualche timido turista che non è per nulla sicuro di essere al posto giusto. Ad un certo punto la porta si apre, l’uso delle mascherine è variegato, il bastoncino del test viene infilato nel naso come un fioretto che nemmeno la Vezzali alle Olimpiadi e dopo meno del previsto, tutti liberi di andare. ‘Non aspettatevi una risposta, se c’è qualcosa vi chiamiamo noi nei prossimi i due giorni’ - in poche parole, ‘Le faremo sapere.’
Il secondo Covid test, gentile (non necessariamente gradito, si veda l’emula della Vezzali di qualche attimo fa) omaggio del governo islandese, mette in realtà in luce alcuni aspetti non evidenti prima: la mancanza di organizzazione (si fa il meglio che si può, ma siamo sempre stati pochissimi, distanti e senza relazioni anche senza Covid), la mancanza di senso pratico - pare che le nuove regole chiedano ad ogni persona che entra sull’isola sei giorni di quarantena a proprie spese in struttura con bagno privato, non esattamente banale, l’accoglienza algida e distaccata.
Ma la Big Family sta viaggiano in una terra meravigliosa. 

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