sabato 15 agosto 2020

OH THERE ONCE WAS A PUFFIN

Si comincia la giornata guardando dalla meravigliosa vetrata di una casetta nella nebbia, sotto casa due cavallini domestici, nutriti ad erba fresca dalla  microba che ha passato con loro ogni minuto libero.
Un’occhiata alle turf houses, quelle che devi sapere che sono lì perché con il tetto coperto di erba sembrano un anche loro un pezzo di montagna.
E poi via verso il primo ghiacciaio visto da vicino, Solheimdjokull, (parte del secondo ghiacciaio d’Islanda, Myrdalsjokull), dove il ghiaccio si mescola al nero della polvere vulcanica. Il ghiacciaio appare dalla nebbia, spinge un vento gelido che ricorda i dissennatori di quell’altra saga fantasy e in un batter d’occhio si arriva alla laguna. Il ghiaccio mescolato al nerissimo materiale vulcanico e all’azzurro degli iceberg, un paesaggio surreale e deserto, circondati da freddo e nebbia da pace e silenzio. Un mondo altro nel mondo.
Un altro mondo nel mondo è la landa attraversata, piatta e a perdita d’occhio, per andare a vedere la fusoliera dell’aereo americano precipitato nel 1963. La carcassa non ha un fascino particolare, ma la landa in cui è precipitato ricorda un deserto infinito, roccioso, piatto e liscio. Tanto che la microba, a cui scappava pipì, si è accucciata dietro il mucchio piú alto che a trovato: un ciuffetto d’erba di trenta centimetri.
Guida guida, ecco il mare. Ma non solo il mare, il mare punteggiato dalle falesie dei ‘Tre troll’, tre faraglioni appuntiti che si dice fossero tre troll venuti a pescare e pietrificati dal sole. Magari la questione ricorda qualcosa, sempre ai lettori di fantasy...
Le falesie ospitano miliardi di pulcinelle di mare che, dopo aver passato l’inverno in mare, tornano a terra per nidificare e accoppiarsi. Sono uccelletti timidi, con un becco che cambia colore a seconda della stagione, le ali che sbattono velocissime e una silhouette non proprio aerodinamica, anzi, piuttosto rotonda. Eppure queste palline di piume hanno il fascino della resistenza, la Big Family li vede sulle falesie, nell’erba, sotto il faro, in volo e posati, incuranti del vento e della nebbia. E torna alla memoria la filastrocca delle puffin canadesi, inseguite ma mai osservate dal vero. E che alla fine diventano vegetariane:
Oh, there once was a puffin,
just the shape of a muffin,
he lived on an island
in the bright, blue sea.
He ate little fishes
that were most delicious,
he had them for supper,
he had them for tea.
But the poor little puffin,
he couldn’t play nothing,
for he had anybody
to play with at all.
So he sat on an island
and cried for a while,
and he felt very lonely,
and he felt very small.
Then along came the fishes
and said: ‘If you wishes
you can have us as playmates,
instead that for tea.”
So they now play together
in all sort of whether,
and the puffin eats pancakes,
like you and like me.

Le falesie ricche di puffin affacciano una lunghissima spiaggia di sabbia nera, dove la nebbia, il vento e le onde tutti insieme concorrono a costruire un fascino molto speciale. Tanto speciale che si scrivono nomi sulla spiaggia, si fa la fila delle orme dei piedi, e che la microba sfida le onde, che vincono loro e la bagnano fino alle ginocchia, scarpe comprese. Naturalmente uniche scarpe da camminata comprese.

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